La crisi climatica si sta aggravando e il pianeta, nonostante l’accordo di Parigi, sta marciando verso i 3°C di aumento della temperatura entro fine secolo: un livello di riscaldamento pericoloso e dalle conseguenze sconvolgenti i cui costi per il 75-80% saranno sopportati dai paesi in via di sviluppo.
Il sistema energetico mondiale, basato sui combustibili fossili, sta cambiando troppo lentamente: il consumo di energia, infatti, è cresciuto del 2,9%, il massimo dal 2010 ed è stato soddisfatto per lo più dall’utilizzo di combustibili fossili, in particolare il consumo di petrolio è cresciuto dell’1,5% e quello di carbone dell’1,4%.
Lo sviluppo delle fonti rinnovabili è troppo lento: nel 2018 hanno fornito solo il 26% dell’elettricità globale e soddisfatto solo il 10% della domanda di raffreddamento e riscaldamento. La penetrazione delle rinnovabili nei trasporti è ancora marginale: il 3,3% nel 2018. Gli investimenti in rinnovabili nel 2018 sono stati dell’11,5% in meno rispetto al 2017.
Il consumo di materia rinnovabile e non rinnovabile continua a crescere. Tra il 1970 e 2017, tassi di crescita eccezionali si sono verificati tra i materiali non rinnovabili, in particolare i minerali industriali e da costruzione (+376%). Il consumo di metalli è più che triplicato tra il 1970 e il 2017.
L’impatto dell’Asia sulle risorse materiali è aumentato dall’inizio degli anni 2000 a causa della rapida industrializzazione di Paesi come la Cina e l’India. L’estrazione complessiva di materia in Cina è cresciuta di oltre il 1.400% tra il 1970 e il 2017 (e corrisponde a un terzo dell’estrazione globale di materie prime). La tendenza è principalmente sostenuta dall’estrazione di metalli (+4.300%) e minerali (+3.800%).
E’ il quadro tracciato dalla Relazione sullo stato della green economy 2019, documento centrale illustrato in occasione della sessione plenaria internazionale degli Stati Generali della Green Economy “Clima e Green New Deal: un patto tra imprese e governi” che si sono svolti a Rimini nell’ambito di Ecomondo.
Secondo i dati diffusi dai promotori sono circa 143 milioni le persone delle aree più povere del mondo che potrebbero diventare nuovi migranti climatici, cui si devono aggiungere le migrazioni interne dovute a eventi estremi come inondazioni o cicloni (oltre 24 milioni di persone già nel 2016).
La desertificazione colpisce in 100 paesi circa 1 miliardo di persone, il 25% della popolazione mondiale rischia di non avere acqua a sufficienza e si conteranno entro il 2030 ulteriori 250 mila morti l’anno per malnutrizione, malaria e ondate di calore.
A livello mondiale, tutti i rischi del cambiamento climatico, che nel 2017 hanno causato 712 eventi meteorologici estremi con perdite economiche per 326 miliardi di dollari, quasi il triplo del 2016.
“Il tempo stringe” – ha detto Edo Ronchi, del Consiglio Nazionale della Green Economy – “dobbiamo aumentare il passo, insieme al gruppo dei paesi più responsabili, accelerando lo sviluppo di una green economy con emissioni nette azzerate al 2050. Il successo e la competitività della green economy carbon neutral spingerà anche i paesi riottosi e arretrati a inseguire e adeguarsi”.
“La felicità e la sostenibilità sono in sostanza la stessa cosa. Per tenere fede all’accordo di Parigi sappiamo cosa fare, sappiamo dove andare. Dobbiamo decarbonizzare l’economia, dobbiamo produrre elettricità a basse emissioni e abbiamo le tecnologie. Ora abbiamo bisogno di una road map, di un percorso comune. Negli Stati Uniti il 70% delle persone è favorevole alle rinnovabili e al taglio delle emissioni, ma il Presidente Trump non ascolta la voce dell’America, mala voce della piccola ma potente lobby del petrolio”. – ha detto Jeffrey Sachs, Direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile della Columbia University in un’intervista video realizzata per gli Stati Generali della Green Economy.