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Rifiuti. Da scarti caseari il packaging biodegradabile e compostabile

Si chiama Biocosì e punta a utilizzare le acque reflue della filiera casearia per produrre bioplastica per imballaggi e packaging per la conservazione degli alimenti – come vaschette per i formaggi o bottiglie per il latte – 100% biodegradabili e compostabili.
Il progetto è sviluppato dall’ENEA in collaborazione con la start-up pugliese EggPlant e trasformerà in 18 mesi i rifiuti caseari in risorse, ridisegnando il packaging in chiave sostenibile.




La valenza innovativa è doppia: da un lato, il processo di separazione a membrana sviluppato dall’ENEA nel Centro Ricerche di Brindisi per il frazionamento del siero di latte che consente sia il recupero differenziato di tutte le componenti – quali sieroproteine/peptidi, lattosio e sali minerali – che di acqua ultrapura; dall’altro, la collaborazione EggPlant-ENEA per la produzione di bioplastica biodegradabile e bioderivata dal lattosio estratto dai reflui, che consente la totale valorizzazione dei rifiuti orientata all’innovazione della filiera agro-alimentare, con benefici anche in termini di riduzione degli inquinanti dell’industria casearia e di impatto della plastica nell’ambiente. Secondo studi ENEA presentati lo scorso dicembre, l’83% dei rifiuti in plastica censiti nei mari italiani è costituito da packaging, per lo più di plastica usa e getta.
Oltre al ruolo di responsabile del processo di estrazione del lattosio e dei peptidi bioattivi da impiegare come integratori nei nuovi prodotti e al supporto tecnico scientifico per la messa a punto della produzione di bioplastica (PHA – poliidrossialcanoati) per via fermentativa, all’ENEA spetta anche la responsabilità della successiva caratterizzazione del biopolimero.
“Questa innovazione ispirata ai principi dell’economia circolare con l’obiettivo ‘zero rifiuti a fine processo’ – sottolinea Valerio Miceli della Divisione Biotecnologie e agroindustria dell’ENEA – risponde non solo ad esigenze di natura etica e ambientale ma anche economiche, legate ai costi elevati dello smaltimento dei reflui caseari, consentendo oltretutto di tagliare di circa il 23% il costo unitario di produzione del biopolimero”.
“Questa proposta può rappresentare anche una fonte di ricchezza integrativa in termini di redditività per le stesse aziende casearie, per gli stakeholder operanti in filiera e per le PMI innovative che mirano ad aumentare la competitività del territorio diversificando l’offerta di prodotto”, aggiunge Miceli.
Attualmente, le bioplastiche rappresentano circa l’1% delle plastiche prodotte ogni anno in Europa (circa 300 milioni di tonnellate). Ma la domanda è in aumento e con materiali più sofisticati, applicazioni e prodotti emergenti, il mercato è già in crescita. Secondo gli ultimi dati di mercato raccolti da European Bioplastics, associazione europea della filiera delle bioplastiche, la capacità di produzione mondiale delle bioplastiche è destinata a crescere di circa il 50% nel medio termine, passando da circa 4,2 milioni di tonnellate del 2016 a 6,1 milioni di tonnellate nel 2021.
Incrementi a due cifre anche per l’industria italiana delle bioplastiche che nel 2015, secondo uno studio commissionato da Assobioplastiche a Plastic Consult, ha registrato un aumento del 25% dei manufatti prodotti e un fatturato di 475 milioni di euro (+10%).
Sviluppato nell’ambito del bando della Regione Puglia Innonetwork e finanziato con 1,4 milioni di euro dal Programma Operativo Regionale POR-FESR 2014-2020, il progetto Biocosì vede tra i partner anche l’Università di Bari e le aziende CSQA, RL Engineering, Caseificio Colli Pugliesi, Compost Natura e la Rete di Laboratori Pubblici di Ricerca Microtronic, coordinata dall’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del CNR.

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